Archivi del giorno: aprile 10, 2011

Intervista a Gavin Harrison


In occasione della Clinic tenuta presso la Tech Music School di Londra ho avuto il piacere di intervistare Gavin Harrison, che ringrazio per la sua assoluta disponibilità nello scambiare quattro chiacchiere con me e nel rispondere anche a vostre curiosità e domande.
Dopo aver montato il suo favoloso set Sonor SQ2, iniziamo subito l’intervista con Gavin che vuole assicurarsi che il mio registratore sia acceso, innumerevoli volte, mi racconta, che solo ad intervista terminata si siano accorti di non aver avviato la registrazione.
Dunque REC , e buona lettura!

GG – Sei molto conosciuto in Italia per le tue collaborazioni con tanti artisti italiani come Baglioni, Battiato e Ramazzotti. Come e perché hai ricevuto il primo ingaggio?

GH – La mia prima collaborazione in Italia è stata con Alice. Le piacque molto un mio album, Dizrhythmia, un mix di musica indiana e jazz, registrato alla fine degli anni ottanta con Jakko Jakszyk, Danny Thompson e Pandit Dinesh, un percussionista indiano di tablas.
Così Alice, ed il suo produttore, mi invitarono a suonare con lei e la sua band.

GG – In che anno?

GH – Precisamente nel 1989

GG – Dopo aver lavorato a lungo con questi artisti italiani, ti sarai fatto un’idea del mercato italiano, cosa ne pensi al riguardo?

GH – E’ un po’ difficile da spiegare, ma penso che il mercato italiano sia centrato più sui cantanti che sulle bands. Ne deduco che, a meno che non si riesca a far parte delle poche bands in circolazione, gli unici lavori per i musicisti in Italia possono essere le sessions con i tanti cantanti presenti sul mercato. Come per esempio accade per Claudio, Battiato, o Ramazzotti che collaborano con musicisti turnisti che suonano regolarmente con loro.

GG – In questi ultimi anni sembra che il mercato in Italia stia collassando o che non esista più, quali credi siano le differenze più grandi fra il mercato italiano e quello britannico?

GH – In Inghilterra esistono molte più bands che in Italia. Questo perché nel vostro paese non esiste la cultura di supportare delle bands, la maggioranza richiede cantanti pop, e Baglioni ne è un esempio..ha tantissimi fans e continua a vendere decine di migliaia di biglietti a concerto.
Se si vuole veramente suonare come session musician è necessario o trovarsi un cantante e andarci d’accordo, o lasciare l’Italia.

GG – Com’è la situazione qui in Inghilterra? E’ dura anche qui trovare lavori da session?

GH – Si, il lavoro è diminuito considerevolmente e ci saranno probabilmente solo cinque o sei musicisti che fanno delle session nel senso più tradizionale, o che suonano nelle bands di alcuni programmi televisivi.
Comunque qui, si continua a produrre ancora molta musica.
Io faccio molte sessions nel mio home studio, molti artisti mi contattano in internet, mi inviano le loro tracce ed io gli rimando la mia registrazione di batteria. Ultimamente faccio molte più session così che in uno studio. E’ cambiato profondamente il modo in cui la gente lavora e la tecnologia ha permesso questo cambiamento.
Conosco altri miei amici che lavorano così, come Dave Weckl e Simon Philips, anche loro hanno un home studio, vengono contattati e lavorano.

GG – Parlando di studio, qual é il tuo approccio? E’ differente il modo in cui prepari le sessions in studio rispetto a quelle live?

GH – Ho più o meno lo stesso approccio per tutte e due. Ovviamente per le sessions in studio, se ricevo una traccia molto difficile, ho il piacere di spendere qualche ora in più per lavorare sul brano. Quando si va in studio di solito l’artista ti da la partitura o ti suona il pezzo, ed hai poco tempo per prepararti. Naturalmente, quando hai più tempo a disposizione, puoi provare idee ed esperimenti differenti, quello che probabilmente non faresti nelle sessions in studio, poiché si hanno solo due o tre ore ed è una vera e propria esibizione. Sono presenti produttori, tecnici, artisti, discografici, altri musicisti, tutti che ti guardano e in quella circostanza non hai il tempo di sperimentare.

GG-– Parliamo del tuo utilizzo del click, sia in studio che in situazioni live. Come preferisci sentire il metronomo?

GH – Normalmente ho un suono veramente molto corto di wood block ed uno di cabasa. Se il tempo è orientativamente attorno i 110-115 o 120 bpm, mi serve il click solo su i quarti. Se è più lento di 95 o più, allora aggiungo la cabasa sugli ottavi. Se il tempo è ancora più lento aggiungo i sedicesimi.
E’ inutile complicarsi la vita avendo il metronomo sui quarti per tempi molto lenti. Farlo come esercizio va benissimo, ma se fate una session volete essere il più precisi possibile.
Scegliete sempre la strada più semplice!
Certe volte a casa, quando registro, posso decidere di non leggere la parte perché il brano è abbastanza semplice, ma ho bisogno di capire quando entrare nel ritornello e nella strofa, così prendo il microfono e registro la mia voce dandomi delle indicazioni. Tipo “ecco che arriva il ritornello…1-2-3-4!”; “qui arriva il bridge”; “qui vado sul ride”, “Ecco che arriva la fine!”
Questo è quello che sento oltre al click.
Voglio che la parte tecnica sia il più facile possibile, così posso concentrarmi sulla musica, sull’emozioni, sulle dinamiche, sentire la voce e cercare di suonare bene. Quando leggo lo spartito mi devo concentrare a contare le battute ed è un’altra distrazione, non credi? A nessuno interessa sapere se registro delle indicazioni o no, la cosa più importante è il risultato finale.
Quindi rendetevi la vita più facile!
E’ un po’ quello che accade con le mie tracce di stasera, posso sentire la mia voce che mi da indicazioni. Così riesco a dedicarmi di più agli arrangiamenti, che è più divertente che contare battute.
Chi vorrebbe mai contare sessantaquattro battute durante il solo di chitarra!?!
Tutto quello che volete è divertirvi. Ovviamente in una situazione live, sarà il chitarrista a darvi un cenno appena prima la fine del suo solo, questo non è ovviamente possibile quando registrate da soli, così dovete aiutarvi un pochino e questo è il modo più immediato che mi viene in mente.

GG – Come fai ad interpretare al meglio il feel delle tracce che devi registrare?

GH – Qualche volta la gente mi manda le tracce ed io le ascolto, accendo il click e posso sentire immediatamente che c’è un problema. Le chitarre o il basso potrebbero essere fuori tempo, certe volte anche la voce, così la prima cosa che ho bisogno di fare è decidere come potrei suonare sul pezzo.
Per esempio potrebbe accadere che basso, chitarra e voce suonino molto in avanti, mentre io normalmente suono un po’ indietro. Devo assicurarmi che le tracce su cui andrò a lavorare siano quelle definitive, e che tutti gli strumenti registrati verranno tenuti. Solo dopo questa certezza, e per far si che il tutto suoni bene, ho necessità di prendere il click e di spostarlo leggermente in avanti, qualche volta anche di venti millisecondi.
Quindi, per fare suonare bene il prodotto finale, devo interpretare il tempo come gli altri strumenti hanno deciso. Ma, se appena finito di registrare la traccia di batteria, accade che mi si dica che le tracce di voce, chitarra e basso saranno cancellate e il tutto si rifarà sulla traccia di batteria, allora…wow!!la batteria suonerebbe tutta spostata in avanti in questo modo!
O se si vuole che io suoni esattamente sul beat, posso prendere tutto ciò che non è a tempo spostarlo indietro. E’ sempre un bilanciamento delicato, perché il groove non è creato solo dalla batteria, ma da tutti. Puoi avere una fantastica traccia di batteria ma se il bassista, il chitarrista o il tastierista non suonano a tempo, non suonerà mai bene.
Qualche volta si affrontano questi problemi, e il materiale pre-registrato non è esattamente groovy, in queste occasioni bisogna essere molto diplomatici cercando di far capire all’artista “vuoi che suoni a tempo o che suoni con te?
Un’altra cosa di cui ho bisogno quando registro, è la traccia della voce, quando la voce non è presente, come faccio a capire cosa suonare? dove vado a suonare i mie fills? dove apro l’hi hat? Mi serve la melodia! Mi è capitato molte volte di trovarmi in situazioni simili, e dopo aver ascoltato il prodotto finale ne rimango deluso. Se solo mi avessero dato tutte le informazioni sin dall’inizio, avrei suonato qualcosa di completamente differente.
Lavorare nel proprio home studio ha i suoi vantaggi, posso ricevere delle demo via e-mail, posso registrarci la mia traccia e rispedirla, ma a volte manca il contatto diretto con il produttore, il decidere e suonare tutti insieme. Nel mio home studio suono soltanto quello che sento, non posso immaginarmi cose, ho necessità invece di sapere quale sarà il prodotto finale.

GG – Cosa ti ha ispirato a lavorare sulle illusioni ritmiche? Qual é stata la scintilla?

GH – Da ragazzo ho sempre trovato i tempi dispari molto misteriosi. Sono cresciuto sentendo il jazz e suonando tutto in 4/4, qualche volta in 3/4, e quando ascoltavo qualche registrazione di Billy Cobham o di Simon Philips ne rimanevo affascinato.
Volevo assolutamente capire cosa facessero. Così ho passato un po’ di tempo a trascrivere quello che sentivo e ho iniziato a pensare “Sai cosa potrebbe essere divertente? se scrivessi lo stesso pattern non sull’ “uno” ma iniziando dal levare del primo quarto? è un pattern completamente diverso!”.
Durate la metà degli anni ottanta, trascrivevo in questo modo qualsiasi idea di pattern strano di batteria mi veniva in mente. Così, alla fine degli anni ottanta avevo collezionato tantissime di queste idee e mi resi conto che erano ciò che ho chiamato illusioni ritmiche (rhythmic illusions), dando l’impressione o di avere un battere differente con l’ “uno” spostato, o di avere un tempo diverso, ossia una modulazione metrica.
Rimasi affascinato dalle cose che potevo fare manipolando il ritmo.
Mi piacque l’idea di manipolare il ritmo, più che semplicemente suonare cose velocissime sul set. Pensai che fosse molto più interessante suonare un beat strano e interessante, anche se semplice, piuttosto che basarsi su velocità e tecnica.
Lavorare di più sulla “tecnica mentale” è molto più importante dei vostri muscoli! Manipolando il ritmo, renderete le vostre esibizioni più interessanti. A questo proposito voglio ricordare un batterista britannico degli anni ottanta chiamato Steve Jansen della band Japan, lui suonava cose molto semplici ma riusciva a piazzare note e beats in posti inconsueti, ciò mi piaceva molto. Fu allora che ebbi una conferma, “è questa la strada che voglio intraprendere!”.
Non sono mai stato bravo a suonare robe veloci, così pensai che fosse la via più interessante da seguire. Questo mi ha dato la possibilità di sviluppare idee più creative quando suonavo con bands o facevo le sessions, soprattutto quando la gente mi chiedeva “in questo bridge ci serve qualcosa di diverso” ed io rispondevo “ok, ho un’idea!
Quando l’unica idea invece è la velocità e l’artista non ne ha bisogno…come sarei potuto andare lontano con Alice, suonando il doppio pedale a 260 bpm? Impossibile! Questo può funzionare in un solo genere musicale.
Ovviamente avere una buona tecnica è importante, per essere in grado di suonare senza pensare ad essa e dedicarsi completamente all’ascolto del pezzo e agli altri musicisti della band.

GG – E’ come conversare con qualcuno…

GH – Esattamente, non posso stare a pensare ad ogni lettera o sillaba che pronuncio, altrimenti non sarei in grado di parlare! Quindi ci serve abbastanza tecnica per suonare fluidamente e abbastanza tecnica per non pensare a cosa si sta facendo, solo così possiamo pensare a cosa gli altri stanno facendo.

GG – Pensi ai poliritmi quando moduli metricamente?

GH – Quando passo da una suddivisione ad un’altra non perdo mai di vista il tempo e l’ “uno” originale, in modo tale da essere sempre in grado di fermarmi e ritornare ogni volta che desidero. Non sento mai l’illusione ritmica come nuovo tempo, ma sempre in relazione al beat originale! A meno che, la transizione non duri per una sessantina di battute o sia definitiva. In questi casi sento certamente l’illusione ritmica come nuovo tempo, perdendo di vista il beat originale completamente.

GG – Come crei le parti di batteria quando lavori con la tua band? Mi riferisco a i Porcupine Tree ovviamente. Componete sempre insieme?

GH – No, non sempre. Qualche volta loro mi mandano le tracce con la parte di batteria suonata da una drum machine. A volte spengo semplicemente la traccia di batteria elettronica e ascolto la canzone. Inizialmente ci suono un po’ sopra sviluppando un sacco d’idee, e quando trovo qualcosa che mi piace inizio a registrarmi. Subito dopo rispedisco la traccia con le mie idee, e ne chiedo il parere. Se gli altri componenti della band hanno abbastanza fiducia in me, sarà mia la decisione finale su cosa registrare.
Qualche volta, la traccia iniziale suonata dalla drum machine è la soluzione migliore! (risate, ndr).
Sai, sarebbe grandioso poter trovare un ritmo unico, ed è ciò che io provo a fare. Se si pensa a quante canzoni sono in quattro quarti, milioni nel mondo, trovare un groove nuovo e originale che non hai mai ascoltato in quattro quarti e che funzioni bene con il pezzo, è una sfida molto stimolante. E’ una cosa che cerco di fare quando ne ho la possibilità.
Questa è la cosa interessante di Steve Jansen, è sempre riuscito a tirare fuori parti di batteria semplici ma inconsuete e originali, che poi sono diventate un tutt’uno con il pezzo. Come la canzone dei Beatles Come Together (canticchia velocemente la parte iniziale di batteria, ndr), quello che suona la batteria è parte del pezzo! Puoi canticchiarla e la gente capisce subito che brano è.

GG – Cosa chiedi normalmente in spia quando suoni live?

GH – Ovviamente ci sono cose che bisogna assolutamente sentire. Hai bisogno di sentire sicuramente la cassa. Cerco di ottenere un mix che si avvicini il più possibile alla realtà. Ho il reverbero e cerco di sentire tutto ciò di cui ho bisogno. Devo sentire in modo definito cosa suonano gli altri musicisti. Il problema con la batteria è che è uno strumento molto “rumoroso”.

A casa suono con il sistema in ear e in più metto le cuffie isolanti in modo da sentire la batteria veramente molto piano, quindi per la prima volta in assoluto posso ottenere un ottimo mix.
Ma quando si suona utilizzando dei semplici auricolari, la batteria è così forte e non c’è modo di ottenerlo.

GG – L’ultima domanda. Qual è la musica che ti ha ispirato ad iniziare a suonare la batteria?Hai una tua top five di brani?

GH – La musica che mi ha ispirato ad iniziare non so nemmeno quale sia!
Mi spiego. Da piccolo ascoltavo i dischi jazz di mio padre, Stan Kenton, Art Farmer, Clifford Brown, Miles Davis,Chet Baker, e in tutta onestà, non sapevo minimamente chi fossero i batteristi. Mi ricordo Stan Levey però… Mi entusiasmava ascoltare la collezione di dischi di mio padre quando ero giovane, più che altro trombettisti, proprio come lui. Io mi sedevo e suonavo su quei dischi e credo che sia ciò che mi abbia ispirato di più. Non ho una lista precisa di canzoni nella mia testa da poterti dire. Certe volte mi fa molto ridere leggere i commenti su i filmati di youtube, con gente che fa la classifica dei migliori cinque batteristi di sempre, alcuni nominano Buddy Rich, chi dice che Neil Pert deve essere il secondo, per altri Mike Portnoy. Mai osare contraddirli!
Ma chi se ne frega!Sono tutti grandi, non è una competizione!

GG – Grazie Gavin! E’ stato proprio un piacere parlare con te!

GH – Grazie Giuseppe, un saluto all’Italia

Dopo l’intervista, Gavin ha tenuto la sua clinic per quasi due ore, suonando e rispondendo alle numerosissime domande degli studenti della Tech Music School, un esperienza che non potranno dimenticare facilmente!